Storia del Comune
Cenni storici
Anche se il toponimo sembra trarre origine dal greco Chondros (granello o cartilagine) e potrebbe rimandare, quindi, al periodo antecedente alla dominazione araba, solo nell’ultimo scorcio dell’epoca sveva, troviamo citato per la prima volta il Casale di Condrò in un documento ufficiale che porta la data del 9 settembre 1262.
Si tratta di un contratto con il quale Orlando di Paternò e la moglie Margherita vendono, per la somma di 400 tarì, al “maestro” messinese Bartolotto Marescalco, le terre di loro appartenenza dette “di Caserta”, site “nella Piana di Milazzo, nel tenimento del Casale di Condrò” delimitate ad oriente dal vallone di Vatirachi, a meridione dai confini di Condrò, ad occidente dal fiume di Gualtieri, a settentrione dalle terre chiamate “Mesanissi”.
Il contratto venne erogato dal regio pretorio di Milazzo da Pietro Ambrosiano, pubblico notaio di quella “terra” alla presenza del baiulo Giovanni di notar Ruggero. Da questo atto si deduce che Condrò in origine non era possedimento feudale ma, così come si diceva allora, “burgensatico”, cioè privato. Tale situazione giuridica venne maggiormente avvalorata da un esame testimoniale voluto da Pietro d’Aragona con lettera datata 11 dicembre 1334. Dall’indagine risultò che Condrò non era soggetto al sussidio di 15 onze che tutti i feudi del regno erano tenuti a versare come contributo per la dote della sorella del re, Elisabetta.
Bartolomeo Marescalco nell’aprile del 1282 capeggiò la ribellione dei messinesi contro gli angioini e per questo fu ricompensato da Pietro d’Aragona col titolo di Barone di Furnari e Protonotaro. La famiglia Marescalco (o Maniscalco) possedette il casale anche dopo il 1339, anno in cui una sentenza della Gran Corte ingiunse agli eredi di Rodrigo Alagona di non molestarne il pacifico possesso.
Nel 1408, nel censo di Re Martino, troviamo il casale in possesso di Isolda di Scala (o Scalisi), dalla quale passò poi a Nicolò Castagna. Il 5 agosto 1421 Alfonso d’Aragona considerò Condrò come territorio feudale e lo concesse al milite Giovanni Bonfiglio e ai suoi discendenti.
I Bonfiglio, dopo una lunga controversia legale per il titolo di proprietà con Margherita Ventimiglia, erede di Nicolò Castagna, governarono Condrò per molto tempo.
A Giovanni Bonfiglio successero Pietro, quindi Filippo nel 1481, Bernardo nel 1526, Pietro nel 1563, Vincenzo nel 1580, Paolo nel 1592.
Per la Piana di Milazzo fu questo un periodo caratterizzato da continue violenze e atrocità dovute soprattutto ad incursioni piratesche come quella perpetrata nel 1544 da Ariadeno Barbarossa.
Il tragico evento portò, dieci anni dopo, alla costituzione di apposite milizie per la difesa di Milazzo, alle quali anche Condrò insieme ad altri centri della zona, diede il suo contributo fornendo un proprio contingente di soldati che si raggrupparono sotto le insegne di Santa Lucia.
Una delle figure più rappresentative della famiglia Bonfiglio fu Francesco, il quale dopo essere entrato in possesso il 7 Novembre 1609 della terra e della baronia, il 17 Aprile 1637, ottenne da Filippo IV il titolo di “Principe di Condrò”. Nel 1747, in seguito al matrimonio di donna Felicia Bonfiglio con Federico Napoli, principe di Resuttano,, il feudo entrò nei possedimenti di quest’ultima famiglia, che ne mantenne la proprietà fino alla fine della feudalità (1812). Il primo censimento dopo l’unità d’Italia registrò a Condrò 1125 abitanti, il doppio della popolazione attuale.
Cenni storici...
E proprio sulle pendici del colle su cui sorge il paese, non lontano dalla strada che porta al santuario dell'Immacolata, gli archeologici hanno individuato alcune grotte che erano state adibite a tombe tanti antichi antichi abitatori della sicilia.
In epoca greca e romana furono soprattutto le sponde dei torrenti ad essere abitati e particolarmente quelle del Niceto, dove si sono avuti significativi ritrovamenti archeologici: una necropoli di epoca greca nella zona di Bonerba ed un tesoretto costituito da pregiate monete del V secolo a.C. ritrovato nel 1947 in contrada Annunziata.
L'importanza del torrente Niceto nell'antichità è sostenuta da numerosi storici: si pensa che lungo le sue sponde sorgesse un tempio dedicato a Diana Facellina con un centro abitato detta Artemisio. Il nucleo di Monforte ebbe origine durante la resistenza all'occupazione della Sicilia da parte dei Mussulmani.
Essa a Monforte fu organizzata dai monaci bizantini, fuggiti dall'Oriente per sottrarsi alle persecuzioni durante la lotta contro le immagini sacre (813-820), trovato asilo nelle grotte precedentemente usate dai Sicani come sepolture, essi diedero vita a due comunità religiose organizzate secondo le regole di San Basilio da Cesarea (monaci basiliani).
Al primo apparire del pericolo mussulmano i monaci costruirono un castello sull’alto del colle ed organizzarono la popolazione per resistere all'invasione.
Questo castello e quelli di Rometta, Taormina, Miqus (Monte Scuderi) costituenti un formidabile quadrilatero, formavano un organico sistema di difesa. L’invasione mussulmana della Sicilia iniziata nell’827 ebbe termine nel 965 con la caduta di Rometta. Nel 1061 una spedizione normanna guidata dal conte Ruggero di Altavilla e dal fratello maggiore Roberto iniziò la conquista della Sicilia. Dopo aver preso Messina e Rometta, i Normanni passarono per Monforte.
Le comunità monastiche prima ospite nelle grotte del colle diedero vita a due distinti monasteri: quello di S. Nicola e quello di S. Anna; tali monasteri da Re Ruggero, figlio del Gran Conte, nel 1131 furono dotati di cospicui possedimenti e sottomessi all'abate del monastero del SS. Salvatore di Messina il quale prese il nome di Archimandrita, cioè capo dei monasteri da lui dipendenti. Il nome del paese, Montisfortis, compare per la prima volta in un documento che porta la data del 1104, mentre il geografo arabo Al Idrisi chiama il paese Munt da furt (monte dei forti) forse ricordando il comportamento eroico tenuto dagli abitanti della zona nella resistenza contro i Mussulmani. Il Castello di Monforte ebbe importanza soprattutto nel periodo svevo e in quello angioino. L’imperatore Federico II lo incluse tra i castelli che per la loro importanza nel sistema difensivo dell’isola erano controllati direttamente da lui. Grande fu la fiducia che ebbe nel castello di Monforte Carlo I d’Angiò: su di esso contava particolarmente per respingere sollevazioni popolari.
A partire dal 1357 entrò in possesso della famiglia Alagona, come baronia. Nel 1393 il Re Martino confiscò il feudo al barone di Monforte Blasco Alagona, accusato di tradimento poiché aveva partecipato ad azioni di guerriglia contro di lui, e lo aggregò alla città di Messina. Successivamente Martino, rimangiandosi quella decisione, assegnò Monforte in feudo alla famiglia Cruillas dalla quale passò nel 1405 per vendita a Nicolò Castagna.
Furono baroni di Monforte i discendenti di Castagna, quindi i Saccano.
Poi a partire dal 1596 Monforte fu soggetto ai Moncada, gli ultimi signori del paese, che dal 1628 ebbero il titolo di principi.
Monforte San Giorgio sorge a 260 metri sul livello del mare.
Offre un incantevole scenario naturalistico, viaggiando attraverso la tipica genuinità.
Sono 3200 le anime che popolano il centro e le due frazioni Pellegrino e Monforte Marina.
Tra storia e leggenda
Nel 260 A.C. dopo la battaglia di Milazzo vinta dai Romani contro i Cartaginesi , il territorio circostante Roccavaldina, chiamato “LAVINA” forse perché scorreva un fiume di acque freschissime, fu affidato ad un Tribuno romano, il territorio fu bonificato e disboscato dagli schiavi.
La città fortificata di Pyxus ora Rometta era lontana e per questo fu costruito un nucleo di casolari di fango e paglia probabilmente vicino all’attuale Roccavaldina chiamato “PAGUS LAVINA” .
In quest’epoca probabilmente è stato costruito un tempio pagano di cui rimangono i resti di una vecchia fonte battesimale che si trova nel Duomo.
Successivamente, il PAGUS LAVINA funse da stazione di posta e per il cambio dei cavalli poiché si trovava a metà strada tra Milazzo e (Mylae) e Rometta (Pyxus) ed attorno a questa stazione si formò il nucleo abitativo.
Con la venuta dei Barbari, l’Impero Romano si divise ed il PAGUS LAVINA toccò all’Impero Romano d’Oriente.
Nel 476 D.C. Goti e Ostrogoti invasero la Sicilia ed il condottiero Belisario mandato dai bizantini li sconfisse dopo una violenta battaglia vicino Pyxus ed il territorio venne affidato ad un Tribuno Romano. il PAGUS prese il nome di “CASALE DEL CONTE” poiché il Tribuno era un Conte di Palazzo e progressivamente si staccò da Pyxus.
La dominazione bizantina finisce nel 870 circa con l’arrivo degli Arabi in Sicilia. Il “CASALE DEL CONTE” fu raso al suolo come si usava allora ma gli Arabi non riuscirono a conquistare Pyxus che fu l’ultimo baluardo cristiano a cadere in mano mussulmana nel 967 D.C..
Gli Arabi cambiarono il nome da CASALE DEL CONTE a RACHAL ELMERUN ovvero campo di rifornimento.
Nel 1060 arrivarono i Normanni e distrussero RACHAL ELMERUN, il loro re Guglielmo il Buono nel 1168 donò al Monastero di S. Maria della Scala di Messina il territorio chiamato prima CASALE DEL CONTE e poi RACHAL ELMERUN.
1300 – nei censi di Federico II d’Aragona si trova un Giovanni Rocca fondatore della nuova terra
1360 – il Protonotaio del Regno Perrone Gioieni di Termini ne veniva investito da Federico il Semplice
1397 – il Giudice della Gran Corte Giovanni Tarento la acquista per 169 onze da Perrone Gioieni
1399 – Il Tesoriere della Real Camera Nicolò Castagna acquista in permuta le terre di Rocca e Maurojanni dal Tarento. Lo stato del Castagna si trasmise integro per tutto il 1400 con diverse successioni femminili
1489 – Gaspare Pollicino se ne investì e frazionò lo stato
1505 - Gilberto Pollicino acquistò le terre di Rocca e Maurojanni ed il castello di Bauso dal fratello Gaspare.
1509 – Andrea Valdina acquista le terre di Rocca e Maurojanni da Gilberto Pollicino. Andrea Valdina di antica famiglia Aragonese si trasferì nel napoletano al seguito del re ma poi dovette tornare in Spagna per la sua vita turbolenta. Apprezzato dal Sovrano fu nominato Maestro Notaro della Regia Corte di Sicilia per 2 generazioni, attorno al 1470 si trasferì nell’isola. Nel 1499 divenne Governatore della Camera Reginale. Nel 1505 fu scelto dal Viceré come capitan d’arme e vicario Generale della Val di Noto contro i Turchi. Alla fortuna con le armi dovette corrispondere una discreta ascesa patrimoniale, neL 1507 comprò da Pietro Orioles la Baronia di Raccuja;
1515 – Andrea Valdina morì dopo aver posto le basi di una nuova famiglia baronale. Nel corso del cinquecento le successioni tra i Valdina furono rapide a causa delle morti precoci degli eredi di Andrea. La Baronia di Raccuja fu venduta ai Bonfiglio.
1549 – Andrea II Valdina acquistò per sé e per i suoi discendenti l’Ufficio di Mastro Notaro ed Archiviataro della Regia Gran Corte che il nonno Andrea aveva acquistato solo per 2 vite. Il diritto si era estinto con la morte del figlio Franceschiello Valdina . Anche se Andrea II a causa del suo ufficio era spesso a Palermo.
In questo periodo probabilmente il Castello assunse l’attuale veste cinquecentesca e nello stesso periodo è stata ripristinata la matrice dedicata a San Nicolò di Mira che era stata danneggiata dai terremoti dei primi anni del cinquecento e fu eretta la torre campanaria che porta la data del 1572. Rocca era una Baronia parlamentare ed i Valdina occupavano il XX° posto nel Parlamento del Regno.
1577 - Andrea II Valdina morì a Palermo e gli successe Andrea III detto il giovane.
1589 – Maurizio Valdina succede al padre Andrea III, ma muore all’età di 22 anni. Pietro Valdina succede al fratello Maurizio, con lui, uomo di eccezionali talenti militari ed amministrativi, la famiglia Valdina raggiunge l’apice.
1599 - Laura Ventimiglia appaltò a Camillo Camilliani il monumento funebre per il figlio Maurizio da collocare nella Chiesa matrice di Rocca che fu consegnato nel 1603.
1600 – Il Barone Pietro amministrava lo stato ed in questo periodo è stata progettata la trasformazione del Castello in palazzo residenziale poi realizzata. Il barone Pietro fu Maestro di Campo del 1° reggimento delle fanterie siciliane nella guerra franco-spagnola per la successione del Ducato di Mantova (1627 – 31).
1623 – Pietro Valdina diventa Marchese della Rocca con la facoltà di aggiungere il suo nome a quello del feudo chiamato da allora Roccavaldina.
1637 –1640 - Il Principe Pietro Valdina fu Pretore di Palermo
1642 – Pietro Valdina trasforma il vicino feudo di Maurojanni in principato e per l’occasione prende il nome di Valdina
1647 – Il Principe Pietro Valdina fu inviato a reprimere i tumulti nella zona dell’Etna. Il fratello Carlo Balì di Malta prestò a Filippo IV in due riprese 15.000 onze garantite dalle città di S. Lucia del Mela e Rometta. Insoddisfatto alla scadenza mosse col fratello Pietro contro Rometta, ma i romettesi si opposero all’occupazione accollandosi l’insolvenza della corona. Il Principe Pietro fece sposare il suo primogenito Andrea IV con Paola Vignolo erede di un ricco mercante genovese
1660 – Giovanni Valdina Vignolo ereditò i beni dei Valdina da su padre Andrea IV.
1692 - Giovanni Valdina Vignolo morì senza figli lasciando un singolare testamento dichiarando erede universale la sua Anima. Si dovevano celebrare 6.000 messe subito dopo la sua morte, e 2 messe quotidiane perpetue nella Matrice di Rocca, nella Cattedrale di Messina e nella Chiesa dell’Arciconfraternita della Madonna del Suffragio in Roma. Si doveva costruire un ospedale con una totale divisione tra donne e uomini, provvisto di un altare per celebrare la messa a vista degli infermi. L’ospedale doveva essere provvisto di medicamenti, di Medico, Chirurgo, Speziale e Barbiere. Le medicine dovevano essere acquistate nella Farmacia di Rocca a metà prezzo. Il sepolcro marmoreo di Giovanni Valdina Vignolo ed il suo busto si trovano nella Cappella di San Nicola nella matrice.
1703 – Dopo annose liti la carica di Maestro Notaro ed il castello di rocca passarono al cugino più prossimo Francesco.
1706 – Francesco Valdina fu già costretto a vendere per 100 onze il titolo di Principe di Valdina al Duca di Giampilieri Giuseppe Papè .
1764 – Giovanni Valdina Vhart figlio di Francesco Valdina fu costretto a trasferire il titolo di Marchese della Rocca al Giurista Camillo De Gregorio . Rimasto semplice Barone vendette pure le Baronie di Rocca e Maurojanni. I successori di Francesco divennero gentiluomini impoveriti che si arrangiavano alla meno peggio per sbarcare il lunario. A metà del 1700 i Valdina non possiedono più il palazzo a Palermo e vivono ritirati a Rocca nel castello che rimase nelle mani dei discendenti per via femminile di Giovanni Valdina Vhart ai quali appartiene ancora oggi – Famiglia Nastasi
nel 1800 – il Castello viene nominato solo come carcere.
Si dovette aspettare il passaggio di Giuseppe Garibaldi p er risvegliare l’orgoglio dei cittadini roccesi, mortificato dall’oppressione borbonica. Furono ben 23 i roccesi garibaldini che con coraggio e onore contribuirono alla liberazione della Sicilia.
Dopo l’unità d’Italia, il Paese fu attrezzato di acquedotto e rete fognaria e di un sistema di illuminazione a carburo. Lo sviluppo economico però, contribuì alla crescita di piccole borgate che ben presto reclamarono la propria autonomia. E così prima Torregrotta e poi Valdina si staccarono da Roccavaldina diventando Comuni autonomi.
Oggi Roccavaldina è un piccolo, delizioso e incantevole paese che coltiva con grande impegno la sua naturale vocazione turistica, valorizzando il suo ricco patrimonio di storia, arte e tradizioni.
Età antica
L'assenza di rinvenimenti archeologici non ha permesso di chiarire se in territorio torrese vi fosse un insediamento umano permanente durante l'età antica. L'ipotesi più accreditata dagli storici è che la zona fosse inizialmente frequentata dai Sicani e che la fertilità del suolo, unita all'abbondanza d'acqua garantita dal Niceto, favorirono l'insediamento umano nel periodo ellenico con la formazione di villaggi contadini. Successivamente, in epoca romana, la presenza di almeno un piccolo centro abitato è ritenuto altamente probabile poiché furono creati dei latifondi amministrati da un tribuno oppure, secondo una tesi più recente, da alcuni ricchi romani.
Nel 1526 l'imperatore Carlo V emanò una Licentia populandi nella quale si autorizzava la riedificazione e il ripopolamento dell'antico Casale il cui nucleo cinquecentesco si ingrandì e si sviluppò nel corso dei secoli, chiamandosi dapprima Torre e poi Torregrotta, rappresentando l'origine dell'odierna città. La rinascita del Casale segnò la ripresa economica dell'intero feudo di Santa Maria della Scala, la cui gestione fu affidata dalle religiose benedettine ad un procuratore laico, con la creazione di diverse strutture commerciali e artigianali ma soprattutto con l'attività agricola. Gli interessi economici del feudo Scala si intrecciarono con quello della terra di Rocca alla cui guida si erano alternati diversi feudatari fino al 1509 quando il feudo fu acquistato dal nobile spagnolo Andrea Valdina. Il governo della famiglia Valdina, che durò fino alla prima metà del 1700, fu per Rocca la fase di maggior splendore, soprattutto grazie all'allevamento del baco da seta che si effettuava nel feudo di Santa Maria della Scala e che consentì ai Valdina di avviare un florido commercio di prodotti serici. Alla fine del XVIII secolo, con la decadenza del Casato dei Valdina, il feudo di Rocca passò nelle mani di diverse famiglie borghesi mentre il feudo della Scala continuò ad essere amministrato da procuratori fino al 1812 quando il re Borbone Ferdinando IV abolì i privilegi feudali e quindi i feudi. Il feudo di Roccavaldina fu tramutato in Comune inglobando al suo interno quello di Santa Maria della Scala con il Casale “Torre” che divenne sottocomune di Rocca.
Scorcio del centro storico: la teca della Madonna delle Lacrime.
Nella seconda metà dell'Ottocento i possedimenti terrieri appartenenti al monastero di Santa Maria della Scala nell'omonimo ex feudo furono confiscati dallo Stato italiano, suddivisi in lotti e venduti al pubblico incanto. I nuovi proprietari, che formarono una ristretta e influente classe borghese, migliorarono lo sfruttamento agricolo e bonificarono la zona costiera.
La popolazione torrese avvertiva Roccavaldina come una realtà estranea e distaccata e il desiderio di maggiore autonomia si manifestò in richieste di carattere religioso. Queste ultime trovarono da subito l'opposizione del clero roccese, intimorito dalla emancipazione dei torresi piuttosto che da una convinta intransigenza religiosa, non sortendo alcun sostanziale effetto fino al 1921 quando fu ottenuta l'elevazione a parrocchia della chiesa di San Paolino. Il clima di tensione tra le due comunità fu massimo durante la guerra delle sepolture[ che si era instaurata allorquando i torresi, nottetempo, iniziarono a disseppellire i propri morti dal cimitero di Roccavaldina per trasferirli a Torregrotta. Si arrivò, infatti, in più di una occasione alla colluttazione fisica tra le opposte fazioni.
- Nel frattempo la borghesia torrese, che voleva rafforzare la propria egemonia in seno alla comunità locale sfruttando sia il consistente potere economico sia l'avversione dei torresi nei confronti di Roccavaldina, approfittò di un periodo di crisi politico-amministrativa del governo comunale roccese e, grazie all'appoggio di varie personalità politiche, riuscì ad ottenere l'autonomia di Torregrotta da Roccavaldina il 21 ottobre 1923.
Comunque, fu in epoca romana che si formò il primo "pagus" (o villaggio) nell'area dove sorge oggi Roccavaldina, e l'area fra Monforte e Rometta (comprendente gli attuali comuni di Valdina, Roccavaldina, Venetico e Torregrotta) fu chiamata Rachal El-melum (o Rachal El-melue) sotto la dominazione araba, e successivamente Casale del Conte (Casale Comitis) in epoca normanna.
Nel 1168 Guglielmo II concesse il Casale del Conte alla badessa del monastero messinese di Santa Maria della Scala, e nel 1196 la regina Costanza confermò la donazione[5].
A seguito della presa del potere da parte del dominio aragonese furono concessi nuovi titoli nobiliari, e nella parte occidentale del territorio demaniale di Rametta (oggi Rometta) vennero creati due feudi, che furono concessi a Giovanni Rocca, nobile cavaliere pisano, e Giovanni Mauro, di origine genovese. Nei due feudi nacquero due casali, che presero il nome dei possessori, cioè La Rocca (odierna Roccavaldina) e Maurojanni (o Mauro Giovanni, odierna Valdina).
Lo storico Tommaso Fazello documenta il centro ad un miglio da Rocca, quattro miglia distante da Gualtieri Sicaminò, quest'ultima dista sei miglia dal castello di Milazzo, leggermente ad est rispetto alla cittadina di Santa Lucia del Mela. Nel breve raggio di un paio di miglia le cittadine di Condrò, Monforte San Giorgio, Venetico e Rometta.[6] Poco tempo dopo, però, Maurojanni fu ceduto a La Rocca, e divennero un unico casale.
Successivamente, nel 1509 i feudi furono ceduti da Gilberto Pollicino Castagna alla famiglia Valdina, arrivata dalla Spagna. I Valdina (prima baroni e poi successivamente principi di Maurojanni o Valdina) contribuirono per due secoli allo sviluppo dei borghi, finché l'ultimo discendente della famiglia, Giovanni Valdina Vignolo, morì nel 1692 senza lasciare eredi. Il titolo passò al cugino più prossimo, e la famiglia si imparentò con la borghesia locale. Il feudo fu posseduto dalla famiglia Valdina sino al 1812, quando il feudalesimo fu soppresso.
Nel 1929 Valdina e i vicini comuni di Spadafora San Martino e Venetico furono fusi nel nuovo comune di Spadafora. Tuttavia nel 1940 il comune di Venetico fu ricostituito nei suoi vecchi confini e il territorio che fu di Valdina venne aggregato a Roccavaldina. Nel 1948 fu ricostituito in comune autonomo nei suoi vecchi confini.